A Cervi, nel maggio del 1929: “.. Le voglio bene, sì: che importa? Lei è la mia vita: il pensiero di lei mi accarezza l’anima, continuamente. Ma che cosa vuol dire, questo, se io non conosco nemmeno il suo Dio; se non so nemmeno pregare per il suo fratello caduto? E’ meglio che lei mi lasci andare per la mia strada, con la mia incoscienza. Io galleggio come un pezzo di sughero: non posso scendere alla minima profondità.. Io = sonno + effervescenza. Mi lasci andare. Non so nemmeno chiederle perdono di quel che faccio. Non piango neanche: non sono neanche triste.
Me ne vado pian pianino, come un pezzo di carne insensibile. Mi lasci andare; e non sia triste, perché non val la pena.”
Antonia Pozzi.
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