Mi chiamo Ahmdi, vivo in Italia da sei anni. Quando avevo nove anni ho iniziato a lavorare e studiare, in Egitto, il mio paese natale. Facevo il verniciatore e il lucidatore; avrei voluto fare l’università, ma potei raggiungere solo il diploma, la mia famiglia non poteva permettersi di più. Presi il diploma, e continuavo a lavorare. A un certo punto, a vent’anni, scelsi di cambiare vita, di cercare qualcosa di nuovo: iniziai la vita dell’emigrante. Nel paese molti ne parlavano, ed ero affascinante. Avevo voglia di aprire nuove prospettive alla mia vita. Andai in Libia, dove continui a lavorare come verniciatore per tre anni. Il mio sogno era raggiungere l’Italia: era il sogno di tutti, la meta ambita di ogni emigrazione: era un paese civile, evoluto, pieno di opportunità di lavoro. Se avessi voluto rubare me ne sarei stato in Egitto, anche in Egitto è pieno di ricchi da rubare. Venni in Italia per inseguire un sogno. Arrivai a Milano nel 2004, dopo un viaggio non bello da ricordare. Avrei voluto fare il lavoro che sapevo fare meglio, il lucidatore, ma non trovai posto: le aziende grosse richiedevano il permesso che non avevo. Diventai intonacatore, in una piccola ditta, lavorando in nero, logicamente. La prima volta succede proprio nel 2004, mentre sto tornando a casa dal lavoro. Mi fermano, mi chiedono i documenti, mi danno un primo foglio di via. La seconda volta mentre mangio un kebab, sottocasa: entrano, chiedono i documenti, non li ho, secondo foglio di via. Un giorno stavo tornando a casa da una scuola di italiano: perchè dicono che bisogna integrarsi, e per integrarsi bisogna parlare la lingua. Tornavo a casa tardi da scuola, e mi fermarono per la terza volta: foglio di via con espulsione immediata. Mi hanno portato in carcere, per tre giorni. Mi hanno lasciato senza mangiare, in una stanza putrida, addossato ad altre persone. Non ho mai rubato una mela in vita mia, non ho mai compiuto reato, e mi trovavo in carcere. Questo è essere clandestino a Milano.
Ahmed finisce di parlare. Dalla platea si alza una ragazza coi capelli rossi, dalla pelle diafana. Dice “io sono straniera, vengo da Bucarest. Abito in Italia da 35 anni, e non ho mai avuto il permesso di soggiorno. Non mi hanno mai fermato”
La clandestinità è forse un fatto di colore?